Le navi “fantasma” della Cina danneggiano la pesca in Europa

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Più di duemila navi “fantasma” ricevono sussidi non registrati e lavorano oscurando la loro presenza.

Navigano nei mari di tutto il Mondo e pescano senza rispettare ne regole ne criteri di sostenibilità ambientali.

Non stiamo parlando di pirati, ma delle flotte pescherecce Cinesi, che finanziate da sussidi statali non registrati insieme ad accordi sottobanco con Paesi Africani ed Asiatici, starebbero esaurendo le scorte negli oceani per sfamare la loro popolazione e soddisfare le esigenze delle industrie nazionali.

Pesca e Sostenibilità

Ci sono 2000 navi “fantasma” a ridosso delle circa 900 ufficialmente dichiarate.

Queste operano fuori dalle coste cinesi per recuperare grandi quantità di pesce senza essere controllate e le catture totali cinesi ammontano attualmente a 14-16 milioni di tonnellate, di cui 3-4 milioni provengono dalla pesca d’altura, in particolare dalle acque al largo dell’Africa occidentale e del Sud America occidentale.

Per gli Stati membri dell’Unione Europea questi pescherecci costituiscono motivo di concorrenza considerando che la flotta europea d’altura conta appena 259 imbarcazioni.

Secondo i ricercatori, mentre le navi dei Paesi del blocco sono tenute a rispettare rigidi regolamenti sulle quantità e le tipologie di pescato, nonché a rispettare accordi di sostegno alle comunità locali di pescatori, le navi cinesi operano in modo più vantaggioso non dovendo sottostare a tali restrizioni.

La sostenibilità ittica non sarebbe una priorità del governo guidato da Xi Jinping.

Navi Fantasma

Cozze, molluschi e ostriche sono specialità tipiche del territorio cinese, ma l’aumento della ricchezza degli ultimi anni ha spinto la popolazione a mettere in tavola quantità sempre più elevate di pesce e a richiederne più tipologie.

In questo modo sono andati ad esaurirsi gli stock ittici nazionali.

Così Pechino da un lato si è affidato agli allevamenti, diventando il principale importatore di farina di pesce, il mangime necessario nell’acquacoltura, dall’altro ha spedito centinaia di navi d’altura oltreoceano.

A soddisfare la domanda di mangime sono soprattutto alcuni paesi dell’Africa occidentale, dove però le richieste cinesi stanno creando scompensi nell’alimentazione locale.

Le fabbriche di farina di pesce che esportano sfruttano tonnellate di piccoli pesci che venivano usati dalla popolazione.

Altro cambio di passo fondamentale della transizione riguarda il passaggio dell’industria ittica della Repubblica popolare da trasformatore ed esportatore di prodotti primari come i filetti all’accaparramento di prodotti acquatici di alta qualità destinati al consumo interno.

Da qui il ruolo decisivo delle navi “invisibili” chiamate a soddisfare un mercato nazionale sempre più amplio ed esigente.

Le flotte d’altura cinesi attraversano così gli oceani per recuperare specie pregiate, introvabili nelle loro acque nazionali, e per catturare grandi quantità di pescato.

Da cosa deriva la discrepanza tra navi visibili ed “invisibili”? Ci sono vari fattori.

Le attività di trasbordo in aree come il Perù e l’Ecuador, avvengono principalmente con navi da scoglio che battono bandiere di Paesi terzi, soprattutto di Panama, Paese noto per nascondere la proprietà effettiva delle imbarcazioni.

Un’altra ragione sta nel fatto che le navi cinesi che operano nel sud del Giappone e intorno alla penisola coreana, di solito non vengono calcolate nelle flotte d’altura di Pechino, pur ammontando ad oltre 2000 imbarcazioni.

La scarsa trasparenza costituisce un problema non solo sul numero di navi e le relative catture, ma anche in merito alle sovvenzioni. Il team di ricerca evidenzia che le flotte cinesi che operano in Mauritania e Senegal “hanno ricevuto alti livelli di sussidi dal governo cinese”. Quelle che operano invece in Madagascar, Mauritius, Ecuador e Isole Salomone non offrono informazioni chiare sugli aiuti che potrebbe fornire lo Stato.

Tutti questi fattori faciliterebbero pratiche di pesca illegale.

Come difendersi

L’Unione europea ha stipulato con la Cina uno specifico accordo bilaterale, che risulterebbe però depotenziato a causa di singoli accordi tra Pechino e alcuni Stati membri.

Questi trattati non riescono a frenare l’esaurimento degli stock ittici, il degrado ambientale nonché le pratiche di concorrenza sleale poste in essere dalle navi “invisibili”.

Per arginare il dominio cinese, gli studiosi suggeriscono all’Unione europea varie raccomandazioni.

Bruxelles dovrebbe ad esempio incoraggiare le aziende ittiche a cercare partner di trasformazione primari al di fuori della Cina, suggerendo di sfruttare la “forza lavoro capace ma più conveniente” di Paesi come Vietnam, Cambogia, e dell’Asia meridionale.

Le alternative potrebbero essere anche in Africa e in LatinoAmerica.

Altro strumento riguarda la protezione degli stock ittici di interesse per gli europei, in particolare per quanto riguarda il tonno del Pacifico occidentale.

A loro volta gli Stati membri dovrebbero astenersi “dal negoziare accordi individuali” per concentrarsi invece sulla cooperazione con le istituzioni europee. Infine, suggeriscono di ricordare ai negoziatori cinesi che le pratiche predatorie e di sovra-sfruttamento vanno in direzione opposta al “secolo ecologico” proclamato dal governo di Pechino.

Più cooperazione e meno concorrenza spietata.

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Pescatori a Tavola